domenica 16 ottobre 2016

I nostri piccoli pionieri




In questi giorni ho continuato ad avere un interessante scambio con Marlo Mack di www.gendermom.com 
Io e lei ci ritroviamo in molte cose. Abbiamo la stessa età, ci siamo separate tutte e due 4 anni fa, e tutte e due affrontiamo ogni giorno le stesse problematiche. L’unica differenza è che suo figlio adesso è una figlia.
Differenza non piccola...che suscita in me dubbi e perplessità riguardo a cosa anche io dovrei fare. Perplessità che lei avrà al contrario.
Parlando con lei e leggendo le sue interviste è incredibile come nelle nostre vite molto si somigli. Ma è incredibile come le storie di quasi tutti questi bimbi siano quasi uguali. Quante volte ho scritto a mamme all’estero dicendo “avrei potuto scrivere io quello che hai scritto tu!” E lo stesso sta capitando adesso a me da quando ho iniziato a raccontare sul questo blog.

Il figlio di Marlo Mack aveva tre anni quando molto serenamente le disse che lui non era un bambino ma una bambina.
Incerta sul da farsi, Marlo, esattamente come è successo a me, ha iniziato a cercare delle risposte. Online però c’erano davvero poche informazioni, il suo pediatra non sapeva nulla sui bambini transgender e anche uno psicologo specializzato in problemi dell’infanzia non fu in grado di rispondere alle sue domande. Marlo capì che non esisteva alcuno studio che potesse aiutarla a determinare se  fosse il caso di lasciare vivere suo figlio come una bambina né ovviamente dirle che cosa sarebbe successo se lo avesse fatto.

“Era come buttarsi in un baratro", disse Marlo, in una intervista. “Praticamente non esistono dati o ricerche”

Un recente studio delle dottoressa Kristina Olson dell’università di Washington cerca di far luce in modo da poter aiutare genitori nella situazione di Marlo. I risultati iniziali che sono stati pubblicati su Psychological Science riguardano 32 bambini tra i 5 e i 12 anni da ogni parte degli Stati Uniti che vivono la loro vita nel genere in cui si identificano e in ambienti che li appoggiano.

La ricerca, la prima che riguarda i bambini con queste caratteristiche, intende lanciare il primo studio nazionale e su larga scala su bambini transgender negli Stati Uniti. 

Non essendoci ancora nessuno studio, i genitori infatti si trovavano a dover prendere tutti da soli delle decisioni importantissime e molto delicate. “Posso far vivere mio figlio nel genere a cui si sente di appartenere? O devo costringerlo a comportarsi secondo il suo sesso biologico? Devo portarlo in terapia per aggiustare quello che c’è di sbagliato in lui o devo appoggiarlo in ciò che lui dice di essere?” Esattamente tutte le stesse domande che mi sono sempre posta anche io!

Nello studio della Olson la dottoressa ha sottoposto i 32 bambini transgender ad alcuni test insieme ad altri bambini “cisgender” (bambini cioè che si identificano nel loro sesso biologico). I test consistevano nel porre delle domande veloci su cose nelle quali i bambini dovevano identificarsi rispondendo “Io si” o “io no”, sapendo che le risposte veloci e istintive normalmente danno la visione vera dello stato delle cose. La dott Olsen osservando i risultati finali ha visto che il grafico delle risposte dei bambini cisgender corrispondeva esattamente a quello dei bambini transgender. In parole povere una bambina transgender (bambino che si sente bambina) rispondeva con la stessa chiarezza e velocità di una bambina cisgender. E la stessa cosa avveniva per i maschi.

Ovviamente vi ho riportato in breve lo studio fatto e certamente la dottoressa è conscia del fatto che c’è estrema necessità di ulteriori ricerche ma i risultati del suo studio lasciano capire senza ombra di dubbio che i bambini transgender non  stanno mentendo, non sono confusi, non hanno ritardi nello sviluppo, ma anzi corrispondono perfettamente al bambino tipo del genere a cui dicono di appartenere.

La dottoressa Olson spera di riuscire a studiare altri 100 bambini e seguirli fino all’età adulta per vedere come l’accettazione e il supporto avuti fin dalla tenera età possa influenzare queste persone in maniera diversa da come è stato finora.

Certo non abbiamo alcuna idea di cosa saranno le loro vite, perché oggi ci sono davvero pochissime persone transgender che hanno vissuto la loro vita potendosi esprimere liberamente fin da piccole. Per questo questa generazione di bambini è così importante. Perché sono i nostri pionieri.

Onestamente avrei fatto volentieri a meno di avere un figlio pioniere. La cosa mi spaventa moltissimo! Ma so che preferisco la paura dell’incertezza di un pioniere felice, piuttosto che la certezza di un bambino convenzionale infelice.

"Infanzia e transessualità"

La  casa  editrice  Catarata ha appena pubblicato il libro ‘Infancia y Transexualidad’, un'opera con cui il pensatore dà voce a coloro che affrontano con coraggio la realtà dell'essere genitori 
E  arrivano le prime storie sulla transessuailtà nei bambini e sul vigore con cui i minori chiedevano di essere riconosciuti nel genere che consideravano, con entusiasmo, essere il loro. A partire da questo momento cominciò uno studio che si è materializzato nel suo ultimo libro, che si presenterà il prossimo 20 ottobre. 
- Tra tre settimane si pubblica il suo libro  Infancia y Transexualidad, un argomento che finora ha generato molte controversie. Che novità presenta il libro? 
- In questo libro ho tentato di costruire una cornice teorica sulla transessualità infantile in  cui si stabiliscono categorie, concetti, principi, elementi che possano utilizzare posteriormente  medici, psicologi, professori. Quando mi avvicinai al tema, vidi che il discorso biomedico aveva colonizzato questa realtà. Aveva delimitato  molto chiaramente quali erano i  concetti, le categorie, il funzionamento. Lo indicava come un disturbo, una disforia e quello che volevo io era stabilire un'alternativa teorica che fosse indipendente dall'aspetto medico della questione. 
- Come è avvenuto il processo? 
- La base del libro sono le narrazioni delle madri di questi bambini, molte raccontate nella web dell'associazione Chrysallis. La prima storia mi arrivò in modo personale e mi entusiasmò. Una bambina chiedeva a sua madre in modo estenuante  che le mettesse dei vestitini. Allora decisero di fare un viaggio e di vestirla secondo il genere con cui si identificava.  Sua sorella maggiore era complice e quando un uomo gli disse “che belle  siete tutte e due” la soddisfazione della piccola fu evidente. Dopo cominciai a notare altri casi e mi resi conto che c'è una serie di elementi identici che si ripetono in tutte le famiglie. 
- Quali, le domande degli stessi bambini di poter vivere nel genere in cui si sentono identificati?
- Sì. I bambini di solito captano questa realtà molto presto, ma che lo facciano a un'età più o meno avanzata dipende anche dalla capacità dei genitori di reagire e accettare. Un bambino può insistere ben cinque anni finché i genitori dicano basta, ti accettiamo, ti accompagniamo, andiamo a scuola, iniziamo il processo di accettazione sociale... ma non tutti reagiscono nello stesso modo e allo stesso ritmo. 
- Il riconoscimento dell'identità di genere ha età? 
- Gli psicologi ufficiali che lavorano in unità di trattamento di identità di genere la collocano a un'età molto avanzata, nella pubertà, ma io non sono d'accordo. I motivi che apportano  è che i bambini prima non sono maturi, mentre io credo invece che lo siano per riconoscere se stessi. Il cervello si è già formato per il riconoscimento del corpo e per il controllo dell'identità e ciò avviene a un'età molto precoce. Se non riconoscono il loro genere, questi bambini in realtà stanno soffrendo per l'oppressione della loro identità da parte della famiglia o dell'ambiente. Un bambino  di 8 anni fece sedere sua madre e le disse: “Mamma, io sento qui nella mia testa che sono un bambino”, e fu un punto si svolta per questa famiglia. 
- Questi bambini hanno bisogno di uno psicologo che gli dica qual è la loro identità?
- Assolutamente no.  Ci sono volte in cui sono i genitori ad averne bisogno, perché hanno sofferto molto, hanno ricevuto uno choc, hanno visto che la tranquillità della famiglia vacillava, escono dalla zona di confort in modo brusco. È qualcosa che non si sarebbero mai aspettati.  La parola transessuale può risultare spaventosa per i genitori, perché la vedono come una figura presente nell'immaginario collettivo del mondo della notte, della prostituzione, di persone che vivono in una situazione di emarginazione assoluta. 
- Però questo concetto non  corrisponde  alla realtà. 
- Le persone transessuali non hanno per forza una disforia, o una certa patologia o non devono essere emarginate, cioè non è una cosa ovvia che sia così. Però se esiste questa immagine è perché sono state segregate, condannate all'ostracismno e si è costruita per riferirsi a loro una categoria di abietti e miserabili. E qui risiede l'ingiustizia. Prima ti emarginiamo e poi ti attribuiamo una disforia e un disturbo di identità che noi stessi abbiamo creato. Il malessere non è intimamente unito alla transessualità, lo crea il trattamento da parte della società. I bambini sono assolutamente felici nel momento in cui vengono riconosciuti, accettati e accompagnati per come loro si sentono. 
- E se non vengono accettati?
- Possono avere grossi problemi se non li si accetta. Disturbi del sonno, incontinenza urinaria, irritabilità, ira. Ma cambiano radicalmente nel momento in cui vengono accettati.
- Suppongo che molti genitori si sentiranno persi al momento di avvicinarsi alla transessualità dei loro figli, mascherare e cercare che sia un gioco da bambini o affrontare la situazione come una realtà? 
- Credo che la prima cosa  che deve fare la famiglia sia lasciare che i bambini si esprimano liberamente, in modo semplice, senza coercizioni, senza nessun tipo di pressione. La cosa peggiore che si possa fare con questi bambini è reprimere, castigare. E poi  bisogna accettarli con normalità. I servizi ufficiali hanno bisogno di tempo, ma questi bambini spesso non possono aspettare, e poi aspettare cosa? Che cambi la società? O, come dice una madre, che perdano l'infanzia? E c'è dell'altro. Questi psicologi lavorano perché ci si abitui a una nuova realtà in casa, ma non fuori, e questa specie di vita schizofrenica è totalmente negativa.
- Che succede con questi bambini a scuola? Subiscono bullying?
- Quando si avvisa con tempo la direzione, si parla con gli orientatori e i tutori sono attenti, la loro vita può essere abbastanza facile. I bambini si adattano molto bene. A volte i compagni di classe sanno che la bambina è una bambina molto prima che lo sappia la famiglia.  Generalmente vedono  la transessualità como una cosa naturale.
- È  l'adulto che lo trasforma in qualcosa di negativo? 
- Molte volte sono i genitori dei compagni che lo vedoono come qualcosa di tremendo, qualcosa che possa contaminare e contagiare gli altri.
- Servirebbe più informazione nei centri?
- È assolutamente necessaria e la legge deve prevedere un'educazione nella diversità sexogenerica. È una cosa imprescindibile. I bambini devono sapere che non esistono solo bambini con il pene e bambine con la vagina. Questo non appare né nei libri di testo né nella legge, malgrado sia necessario perché i bambini crescano in modo diverso e si arricchiscano. Ci sarà più rispetto se si conoscerà questa realtà. 
- La società è preparata per accettare la differenza?
- C'è di tutto. Però credo che stia avvenendo un cambiamento, in modo inconsapevole, da un modello binario, intransigente, radicale e irrispettoso, che espelle di norma le persone differenti, a un sistema di accettazione di una società sessualmente plurale e multidimensionale. Manuel Castel scriveva che  solo una quarta parte dei bambini statunitensi sta vivendo in famiglie nucleari patriarcali, il resto lo fa in famiglie ricostituite, monoparentali, omoparentali, o altro. Si sta anche cancellando la contrapposizione tra uomo e donna visti come due elementi opposti. Oggi a nessuno viene in mente di pensare che una donna non sia tale perché ha adottato ritmi o abitudini maschili o, al contrario, che un uomo sia effeminato perché prepara da mangiare, va a prendere i bambini a scuola o è molto emotivo.Si accetta fino a un certo punto l'omosessualità, si riconoscono la paternità o il matrimonio indipendentemente dai casi di  omofobia o transfobia che sono probabilmente molti e molto forti.  
- Nell'ambito medico come viene considerata la transessualità? 
Queste generazioni di bambini transessuali e le loro famiglie stanno cambiando il mondo. Lo penso umilmente. Alcuni specialisti si domandano che fare quando arrivano bambini transessuali che abbiano assunto il loro ruolo già da anni. Il discorso biomedico ufficiale deve cambiare e infatti questo sta accadendo. Perché non si tratta di una malattia, né di una patologia. Non si può pensare questo. Ancor oggi uno dei requisiti per il tratttamento ormonale delle persone transessuali è il sottoporsi a un procedimento molto lungo di diagnosi e valutazione. Anche se già esistono dottori che lo fanno tranquillamente e senza problemi. Sanno che a volte si è agito male e che il fenomeno non si può trasformare in una patologia.
- E dal punto di vista legislativo?
- Devono cambiare le leggi. Ce ne sono varie regionali ma non ne abbiamo ancora una nazionale. È assolutamente necessaria una legge che  riconosca i diritti che già esistono  e che li affermi definitivamente. Servono una legge in Parlamento e i conseguenti protocolli, serve che tutte le pratiche siano facili, il cambio del nome, del sesso, il tratamento medico. 
- Nei centri educativi manca educazione sessuale perché i giovani diventino adulti con una vita sessuale sana? Ci sono ancora tabù? 
- Tutto quello che riguarda l'educazione sessuale non è ben visto nelle scuole, ci sono molti tabù. Ho sempre pensato che sarebbe assolutamente necessario che esistessero nei centri scolastici delle squadre di orientamento con pedagoghi, sessuologi, assistenti sociali e che i ragazzi ricevessero un orientamento riguardo alle pratiche,all'innamoramento. Perché alla fine ricorrono agli amici e magari nemmeno loro hanno le conoscenze necessarie. Che avessero un orientamento adeguato fornito da specialisti sarebbe fondamentale, ma questo non avviene. 
- Le generazioni attuali hanno aumentato il valore dato all' “io” all'ennesima potenza. È positivo cercare la felicità per se stessi, essere meno sacrificati, o siamo sulla cattiva strada?
- Da  una parte è importante che abbiano autostima, però d'altro canto è anche importante che conoscano i benefici della disciplina, il sacrificio, il lavoro, lo sforzo, concetti che  stanno perdendo forza. Non  tutto è  un gioco. Lo sforzo è necessario per imparare fisica, matematica o inglese.
- Che pensa della Lomce* (*Ley orgánica para la mejora de la calidad educativa/Legge organica per il miglioramento delle qualità dell'istruzione)? Maltratta intenzionalmente la filosofia?  
- In questo mi trova impreparato, ma è chiaro che la filosofia sta per sparire. Dai licei e dalle università. La storia della Filosofia si riduce a una materia facoltativa e ciò è un handicap molto importante. L'insegnamento  deve essere sempre  critico e quello che può apportare la filosofia è precisamente il suo carattere critico, la capacità di analisi, la capacità critica della ragione.
- Qual è lo stato di salute attuale dell'insegnamento?
Si stanno screditando i professori. Possono ricevere considerazione i cantanti, gli artisti, i giocatori di calcio ma i professori non hanno prestigio. È difficile che qualcuno riesca a trasmettere qualcosa se le persone che ha davanti non provano nessun tipo di attrazione o, persino, di ammirazione. È anche totalmente disprezzata la cultura. La letteratura, l'arte, la filosofia, la biologia, il pensiero in generale, non hanno nessun tipo di valore.


martedì 11 ottobre 2016

"Gendermom"

Stanotte ho scambiato un paio di email con l'autrice del bellissimo blog gendermom , mamma di una bambina transgender dell'età di mio figlio. Come sempre quando scrivo a qualcuno trovo un mare di solidarietà ad accogliermi e questo mi fa domandare sempre e sempre di più dove siano i bambini italiani confusi, ma sopratutto dove siano i loro genitori, cosa facciano quando vedono che il loro figlio o la loro figlia esprimono gusti che non seguono la massa.....Li soffocano? Li conformano?
Non siamo quelli famosi al mondo per la "famiglia", la "mamma italiana" ecc? Non siamo quelli che criticano gli anglosassoni perché si sbarazzano dei figli troppo presto? Perché non preparano loro da mangiare?
Forse dovremmo rivedere leggermente alcuni punti e imparare che la cosa più importante con è che nostro figlio/d diventi un bravo avvocato, ma che diventi un adulto consapevole e felice.
Marlo Mack mi chiesto di pubblicare il suo video "how to be a girl" che trovo molto carino e alla portata di tutti. Anche lei, come me, ha sentito la necessità di tradurlo in varie lingue tra cui l'italiano per cui mi ha fatto la gentilezza di mandarmelo sottotitolato.
Per questo la ringrazio moltissimo!
Cliccate qui per il video!

lunedì 10 ottobre 2016

"Normalità"




Non so se l'ho già scritto, ma mi è rimasta molto impressa, una volta, una intervista a una donna transessuale la quale raccontava di quando le avevano chiesto "Ma lei quando si è accorta di essere transessuale?"  e la sua sua risposta era stata "Io mai! Gli altri me lo hanno detto!"
Spesso si cade nell'equivoco che certe cose siano una scelta! E' proprio da qui che credo nasca tutta la polemica "anti teoria gender" (che poi che cacchio vuol dire davvero "teoria del gender" lo sanno solo loro! O forse nessuno!). Ecco allora gli oppositori che a gran voce gridano all'assurdità della cosa: "dove finiremo se ognuno potrà scegliere di essere maschio o femmina! Si inizierà allora anche a voler essere un cane o un gatto!" A parte il fatto che, per esempio, mia figlia vorrebbe da sempre essere un ghepardo e non ci vedo nulla di male, il punto che sfugge su questo argomento è un altro: NON E' UNA SCELTA! Esistono delle caratteristiche fisiche che effettivamente possiamo cambiare....il colore dei capelli, il fisico con diete e palestra, il modo di parlare. Ma ciò che siamo dentro, no.  Siamo quello che siamo. Poi c'è chi si "conforma" per quieto vivere alla società con le sue bizzarre regole che si è cucita addosso nei decenni e c'è chi invece  no. E sia chiaro la mia non è una critica per chi si conforma. Se questo lo rende felice e realizzato va benissimo. Lo scopo della vita è stare bene e trovare ognuno il proprio equilibrio. Di base, però c'è che siamo tutti ciò che siamo. Volerlo affermare è un diritto, non una prepotenza nei confronti degli altri. Anzi spesso sono stati quelli che hanno lottato per i loro diritti che sono riusciti a migliorare i diritti anche degli altri. Certo io non sono qui a pensare di cambiare il mondo, ma solo a parlare della mia esperienza e se sarà utile anche solo a una, una di numero, mamma come me ne sarò felice. E se le cose per mio figlio comunque non cambieranno o, paradossalmente peggioreranno, gli avrò comunque insegnato (a lui e agli altri due) che bisogna essere fieri di ciò che si è (fintanto che si rimane nella legalità è ovvio). E se sarò perseguitata per le follie che dico sarà la volta che veramente vado a vivere in Svezia in una fattoria rossa coi bordi bianchi ad accogliere anatre migranti, allevare gatti birmani, organizzare gite per vedere le luci del nord e i miei figli si sacrificheranno a frequentare le scuole pubbliche più belle del mondo!
Vi invito a leggere Erich Fromm "I cosiddetti sani - La patologia della normalità nell'uomo contemporaneo", una serie di lezioni dello psicanalista e sociologo tedesco. Vi riporto il commento al libro scritto  da Fausto Intilla  perchè io non saprei scrivere di meglio. Dice:

"Cos'è la normalità? È davvero un baluardo contro la malattia psichica? È giusta la convinzione diffusa che una persona "normale", sicura di sé, soddisfatta della propria vita e ben adattata alla società moderna dell'abbondanza sia anche una persona sana e serena, immune da nevrosi e depressione? Fromm, vedendo la miseria e le sofferenze umane,  si è convinto che esiste anche una "patologia della normalità", una disposizione alla malattia che nasce dal conformismo e dalla sottomissione alla struttura mercantile delle moderne società occidentali, dominate dal consumismo e dalla crisi dei valori, e dalla mitica idea di progresso della scienza. Individua due meccanismi perversi: l'alienazione, che pervade tutti i campi dell'esistenza (dal lavoro ai rapporti interpersonali, ai sentimenti), che inevitabilmente porta all'asservimento, alla noia e all'apatia; e il narcisismo, individuale o collettivo, che spinge l'uomo a calpestare la dignità dei suoi simili, al rifiuto della vita, alla necrofilia. Per sfuggire a questa passività indolente e alla conseguente depressione, Fromm propone (attraverso la presa di coscienza e il superamento del vuoto concetto di normalità, sempre più spesso sinonimo di omologazione) di costruire una nuova "scienza umanistica" che, forte del bisogno di utopia, della tensione verso la verità e la giustizia, si ponga l'obiettivo di far scoprire (o riscoprire) all'uomo il piacere dell'azione libera e l'amore per la vita."

Stiamo parlando degli anni 50 e pare impossibile che le cose stiano ancora così. 
Erich Fromm scrive "Si può dire che ogni società nutra un peculiare e legittimo interesse per una certa dose di conformità. Si tratta di un interesse che deriva dalla volontà di sopravvivenza della società stessa, la quale in tal modo vuole confermare la propria struttura e la propria specificità. La richiesta di comportamenti improntati alla conformità è però molto accentuata nella vita di ogni giorno. Oggi, nel 1953, non ho certo bisogno di soffermarmi sul conformismo; sarebbe piuttosto il caso di sottolineare come attualmente la sopravvivenza della società dipenda dall'esistenza di alcuni non-conformisti. Se tra gli uomini delle caverne fossero esistiti soltanto conformisti, vivremmo ancora nelle caverne e continueremmo a praticare il cannibalismo. Lo sviluppo dell'umanità dipende da un lato da una certa qual disponibilità al conformismo, ma dall'altro anche dalla volontà e dalla determinazione a non adeguarsi. Ai fini non solo del progresso ma della stessa sopravvivenza di qualsiasi società della specie umana, la disponibilità a non adeguarsi risulta essenziale quanto la tendenza a comportarsi in conformità alle norme che in quella determinata società regolano il gioco della vita".

Purtroppo quando la "richiesta di libertà" si associa alla parola "sesso", sia che per sesso si intenda "identità sessuale" che "attrazione sessuale", due cose che tra di solo non c'entrano assolutamente nulla (e qui si capisce la profonda NON-conoscenza sugli argomenti) pare che in Italia si paralizzi il cervello. E pare che quella richiesta di libertà voglia dire "libertà si scelta". In realtà vuol dire "libertà di essere" Che sta alla base della civiltà.

venerdì 7 ottobre 2016

Nemmeno Steve Jobs

Qualche giorno fa, all'uscita di scuola, mentre i miei figli giocavano insieme agli altri bambini, mi sono avvicinata senza farmi vedere. Volevo capire come fossero le dinamiche tra di loro. 
Ormai L. e F. è il secondo anno che frequentano la stessa scuola, in classi diverse certo, ma essendo la scuola molto piccola tutti i bambini conoscono tutti, soprattutto i fratelli e le sorelle dei compagni. 
Così erano tutti lì che giocavano: alcuni di seconda e alcuni di terza. 
Mio figlio F. si era allontanato un attimo per prendere una cosa. 
Appena tornato, P., una sua compagna, gli dice: "ah bene che sei qui! Allora: tu sei in squadra con tua sorella!" 
Lui dice ok e va  a sistemarsi dalla parte di L.
E iniziano tutti a giocare.  Un gruppetto di dieci scugnizzi felici! 
Tutto è successo nella tranquillità più assoluta. 
Per la bambina mio figlio è evidentemente una femmina. e per EVIDENTEmente intendo proprio EVIDENTEmente.
"Evidente": che si riconosce per immediata percezione. Con la particella E che è un intensivo della parola che segue che viene da video-vedere.
Lei vede. 
Vede rosa. 
E vede femmina.
Del resto è solo l'applicazione della proprietà transitiva: se a=b e b=c allora a=c . Tradotta in: se il rosa = femmina e se L.= rosa allora L.= femmina. 

E' buffo vedere come ogni tanto qualche bambino fa un piccolo sforzo in più.   Sforzo che spesso si rivela essere più disastroso della mera proprietà transitiva. Nella fretta del gioco, infatti,  il tempo per il pensiero più articolato è pochissimo. Così ecco che esce un "Dai! Su, F., dì a tua sorella di prender la palla! Anzi no scusa volevo dire: dì a tua fratella….uffa insomma a lui…vabbè" e pure lì il gioco continua pacifico come nulla fosse. C'è però un bambino che è il più furbo. Ogni volta che si rivolge a mio figlio per complimentarsi gli grida "grandeeee!!!!" Ecco lui è il genio. Quello che nella vita ha capito tutto. 
Invidio e ammiro la naturalezza di tutti questi bimbi per i quali, del resto, di base resta il fatto che l'importante è giocare, chissene frega poi di chi è cosa.
Purtroppo però noi grandi inevitabilmente cadiamo nelle generalizzazioni perché, diciamocelo, semplificano la vita. Non è che tutte le volte possiamo farci dei panegirici per arrivare a un concetto. Così se una persona vede rosa il cervello si mette in modalità "sto interagendo con una femmina" Se vede blu….mmmmm ….se vede blu….non è mica tanto certo….allora scatta il piano b: lunghezza capelli? e se nemmeno il piano b funziona si passa al Basic: come ti chiami? Che sarebbe tanto semplice farlo con tutti e fine della festa!
Per i miei figli, ormai, è talmente la normalità che L. venga considerato femmina, che  non sprecano nemmeno più tempo a spiegarlo. Hanno capito che in fondo non ha importanza. Ognuno ha trovato il suo equilibrio: L. quando vede che viene preso per femmina senza cattiveria nè malizia non ci fa nemmeno caso; le persone, grandi e piccole, vedono rosa e non richiedono al cervello quel ragionamento in più per domandarsi perché il nome di L. sia da maschio. E F. solitamente segue il fratello: se è sereno, tutto va avanti senza pieghe, se invece vede che il fratello è scocciato lo difende e porta avanti la causa. 
Non credo che sia affatto facile sradicare tali stereotipi dalle nostre teste e certo non sto dicendo questo nulla di nuovo. Ma forse non sapete perchè non è cosí facile! E ora ve lo spiego: l'altro giorno ho aggiornato il mio iphone. Chi ce l'ha saprà che crea una cartella chiamata PERSONE nella quale automaticamente raggruppa le foto degli stessi visi, una cartella per faccia. Beh…indovinate un po'….Nel mio Iphone esiste adesso una cartella per me (con pochissime foto perché non mi piace farmi fotografare) e quattro cartelle per quattro figli. Mia figlia S., mio figlio F. e mio figlio L. versione femmina e mio figlio L. versione maschio!!!! 
Quindi il punto è uno: se Steve Jobs non ci è riuscito, questo è un segno che non è affatto un lavoro semplice!

giovedì 6 ottobre 2016

Esta generación de niños transexuales está cambiando el mundo


Esta generación de niños transexuales está cambiando el mundo


 02.10.2016

La editorial Catarata acaba de publicar su libro ‘Infancia y Transexualidad’, una obra con la que el pensador da voz a los que afrontan con valentía la realidad que demandan sus hijos.

E llegaron las primeras historias sobre transexualidad en niños y la contundencia con la que los menores pedían ser reconocidos en el género que consideraban suyo le entusiasmó. A partir de ahí comenzó un estudio que se ha materializado en su último libro, que se presentará el próximo 20 de octubre.
-En tres semanas se publica su libro Infancia y Transexualidad, un tema que hasta ahora ha generado mucha controversia… ¿Qué luz arroja el libro?
-En este libro he intentado construir un marco teórico sobre la transexualidad infantil en el que se establecen categorías, conceptos, principios, elementos que puedan utilizar posteriormente médicos, psicólogos, profesores… Cuando me aproximé al tema vi que el discurso biomédico había colonizado esta realidad. Había delimitado muy claramente cuáles eran sus conceptos, sus categorías, cómo funcionaba, lo marcaba como trastorno, como disforia… y lo que quería era establecer una alternativa teórica que se desmarca de la medicalización.
-¿Cómo ha sido el proceso?
-La base del libro son las narraciones de las madres de estos niños, muchas de ellas contadas en la web de la asociación Chrysallis. La primera historia me llegó de forma personal y me entusiasmó. Una niña le pedía a su madre hasta la extenuación que le pusiera vestidos. Entonces decidieron hacer un viaje y vestirla según el género con el que se identificaba. Su hermana mayor era cómplice y cuando uno hombre les dijo “que guapas van las dos” la satisfacción de esta pequeña fue absoluta. Luego empecé a ver otros casos y me di cuenta de que hay una serie de patrones idénticos, que se están dando en todas las familias.
-¿Cuáles, las demandas de los propios niños de vivir el género con el que se sienten identificados?
-Sí. Los niños suelen captar esta realidad desde muy pronto, pero que lo hagan a mayor o menor edad va a depender también de la capacidad que tengan los padres para reaccionar y aceptar. Un niño puede estar cinco años hasta que los padres digan basta, te aceptamos, te acompañamos, vamos al colegio, iniciamos el tránsito social… Pero no todos reaccionan de la misma manera y en el mismo tiempo.
-¿El reconocimiento de la identidad de género tiene edad?
-Los psicólogos oficiales que trabajan en unidades de tratamiento de identidad de género la ponen muy tardía, en la pubertad, pero yo no me lo creo. Los razonamientos que dan es que los niños no tienen madurez a esta edad, aunque creo que sí la tienen para reconocerse a sí mismos. El cerebro se ha formado para el reconocimiento del cuerpo y el control de la identidad y eso se hace a muy corta edad. Y de no hacerlo, estos niños están sufriendo la opresión de su identidad por parte de la familia y del entorno. Un niño de 8 años sentó a su madre y le dijo, “mamá, yo tengo aquí en mi cabeza que soy un niño”, y fue un punto de inflexión para esta familia.
-¿Estos niños necesitan que un psicólogo les diga cuál es su identidad?
-No, que va. Hay veces que los que necesitan el psicólogo son los padres porque han sufrido mucho, se han llevado un golpe muy fuerte, han visto que la tranquilidad de la familia se trastocaba, salen del estado de confort de una manera brutal. Es algo que no esperan nunca. La palabra transexual puede resultar terrorífica para los padres, porque lo ven con la figura que hay en el imaginario colectivo del mundo de la noche, la prostitución, personas que viven en una marginalidad absoluta…
-Pero ese concepto no se corresponde con la realidad… 
-Las personas transexuales no tienen por qué tener disforia, ningún tipo de patología ni ser marginales, al menos no lo son por sí mismas. Pero si existe ese imaginario es porque se les ha segregado, se les ha condenado al ostracismo y con ello se ha construido una categoría especial de lo abyecto, de lo miserable. Y esta es la injusticia, primero te marginamos y luego te atribuimos la disforia y el trastorno de identidad que nosotros mismos te hemos creado. El malestar no va íntimamente unido a la transexualidad, lo crea el tratamiento que le da la sociedad. Los niños son absolutamente felices en el momento en que se les reconoce, se les acepta y acompaña tal como son.
-¿Y mientras no se les acepta?
-Pueden tener grandes problemas mientras que no se les acepta, trastornos del sueño, incontinencia urinaria, pueden ser irritables, airados, pero dan un cambio radical en el momento en el que se les acepta.
-Supongo que muchos padres se sentirán perdidos al abordar la transexualidad de sus hijos, ¿tapar e intentar que sea un juego de niños o afrontar la situación como una realidad? 
-Creo que lo primero que tiene que hacer la familia es dejar que los niños vayan manifestándose de una manera libre, limpia, sencilla, sin coacciones, sin ningún tipo de presión. Lo peor que se puede hacer con estos niños es reprimir, castigar. Y luego aceptarla con normalidad. Los servicios oficiales piden espera, pero muchas veces estos niños no pueden esperar, porque esperar a qué, a que cambie la sociedad, como dice una madre, a que pierdan la infancia… Es más, estos psicólogos animan a que se acostumbre a su “nuevo hábito” en la casa pero no fuera, y esta especie de vida esquizofrénica es totalmente negativa.
-¿Qué pasa en el colegio con estos niños, hay acoso?
-Cuando desde pronto se avisa a la dirección, se habla con los orientadores, los tutores y están atentos, la vida puede resultar bastante benévola. Los niños se adaptan muy bien, hay veces que los compañeros de clase saben que la niña es una niña realmente mucho antes incluso de que lo sepa su familia. Generalmente ven la transexualidad como algo natural.
-¿Es el adulto el que lo convierte en algo negativo?
-Muchas veces son los padres de los compañeros los que lo ven como algo tremendo, terrorífico, algo que puede contaminar y contagiar a los demás.
-¿Haría falta más educación en los centros?
-Es absolutamente necesario y la ley tiene que reconocerlo una educación en la diversidad sexogenérica, esto es imprescindible. Los niños deben de saber que no sólo hay niños con pene y niñas con vagina. No aparece ni en los libros de texto ni en la ley, a pesar de lo necesario que es para que los niños crezcan de una manera distinta y se enriquezcan. Se respetará más si se conoce esta realidad.
-¿Está esta sociedad preparada para asumir la diferencia?
-Hay de todo. Pero creo que se está dando un desplazamiento, hasta cierto punto inconsciente, desde un modelo binario, intransigente, radical e irrespetuoso, que expulsa como norma a las personas diferentes, hacia un sistema de ordenación de la sexualidad plural y multidimensional. Manuel Castel escribía que sólo una cuarta parte de los niños estadounidense están viviendo en familias nucleares patriarcales, el resto lo hace en familias reconstruidas, monoparentales, homoparentales, o lo que sea. También se está borrando la contraposición entre hombre y mujer como elementos contrarios. Hoy a nadie se le ocurre pensar que una mujer no lo es porque haya asumido pautas o costumbres que se pudieran imaginar propias de lo masculino y a la inversa, que un hombre sea afeminado porque haga de comer, recoja a los niños del colegio o sea emocionalmente vivo. Se acepta hasta cierto punto la homosexualidad, se reconoce la paternidad o el matrimonio… independientemente de los brotes de homofobia o transfobia, que son posiblemente muchos y muy fuertes.
-En el ámbito médico, ¿cómo se considera la transexualidad?
-Estas generaciones de niños transexuales y sus familias están cambiando el mundo. Lo pienso humildemente. Algunos especialistas se preguntan qué hacer cuándo les llegan niños transexuales que ya han asumido sus roles hace años. El discurso biomédico oficial tiene que cambiar y de hecho lo está haciendo. Porque no es una enfermedad, ni una patología, esto no se puede pensar. Todavía uno de los requisitos para tratar con hormonas a personas transexuales necesita un proceso muy largo de diagnóstico y evaluación. Aunque ya hay médicos que lo hacen de manera abierta y sin problemas. Saben que han existido malas prácticas y que no se puede patologizar.
-¿Y en el judicial y legislativo?
-Pues tienen que cambiar las leyes. Hay varias autonómicas pero aún no tenemos una nacional. Es absolutamente necesaria una ley que reconozca los derechos que ya tienen y los reafirme. Hace falta una ley en el Parlamento y los protocolos consiguientes, que todos los trámites sean sencillos, simples, cambio de nombre, de sexo, tratamiento médico…
-¿Falta en los centros educativos formación sexual para que los jóvenes se conviertan en adultos con una vida sexual saludable? ¿Aún hay tabúes? 
-Todo lo que significa educación sexual no está demasiado bien visto en los centros escolares, hay muchos tabúes. Siempre he pensado que sería absolutamente necesario que existieran en los institutos y colegios equipos de orientación con pedagogos, sexólogos, educadores sociales y que los chavales tuvieran orientación en cuanto a sus prácticas, enamoramientos… Porque al final a quien recurren es a sus amigos y puede que tampoco tengan los conocimientos. Que tengan orientación adecuada por especialistas sería fundamental, pero lo no hay.
-¿Las generaciones actuales han subido el yo a su enésima potencia? ¿Es bueno buscar la felicidad de uno mismo, ser menos sacrificados, o se va por mal camino? 
-Por una parte es importante que tengan autoestima, pero por otra también lo es que conozcan los beneficios de la disciplina, el sacrificio, el trabajo, el esfuerzo, conceptos que se han visto absolutamente desprestigiados. No todo forma parte de un juego, el esfuerzo es necesario para aprender Física, Matemáticas o Inglés.
-¿Qué opina de la Lomce? ¿Maltrata a conciencia a la Filosofía? 
-A mi me coge fuera de juego, pero está claro que la Filosofía está a punto de desaparecer. Del Bachillerato y de las universidades. La Historia de la Filosofía queda reducida a una optativa y es un handicap muy importante. La educación tiene que ser siempre crítica y aquello que puede aportar la Filosofía es precisamente su carácter crítico, la capacidad de análisis, la capacidad crítica de la razón.
-¿Cuál es la salud actual de la enseñanza? 
-Se está desprestigiando a los profesores. Pueden tener prestigio los cantantes, los artistas, los futbolistas pero los profesores no tienen prestigio. Y es difícil que alguien logre transmitir algo si las personas que tiene enfrente no sienten algún tipo de atracción e, incluso, admiración. También está totalmente desprestigiada la cultura. La literatura, el arte, la filosofía, la biología, el pensamiento en general, no tienen ningún tipo de valor.


mercoledì 5 ottobre 2016

Come dicono quelli bravi... "la mia mission"


Ieri, dopo che è uscito l'articolo dell'espresso della giornalista Eugenia Romanelli (che potete leggere qui http://eugeniaromanelli.it/nasce-primo-blog-italiano-sui-bambini-gender-fluid/) ho avuto una lunga discussione  con una amica, la quale mi dimostrava la sua profonda preoccupazione nei confronti dei miei figli per quello che stavo facendo. E' sempre abbastanza disarmante quando capisci che il tuo interlocutore trasforma quello che dovrebbe essere un dialogo in uno sterile monologo, a mo' di  terrorismo psicologico. Ed è incredibile come, in questa mia esperienza, le persone che mi sono state più "lontane" nei modi e nei pensieri sono  proprio le persone che mi conoscono da più tempo. Ho sempre trovato molto più supporto nei genitori degli altri bambini di scuola o nelle persone appena conosciute. Spesso le mie "amiche" sono state prontissime a esprimere un giudizio (nella maggior parte sterilmente critico) che non a chiedere e informarsi su che cosa succedesse. Credo che praticamente nessuna mi abbia mai fatto la domanda più significativa e banale che ci sia: "ma come stai?" Chi mi conosce dovrebbe sapere quanto ci ho messo a prendere questa decisione, analizzando tutti i possibili pro e contro per me e la mia famiglia. E non li ho analizzati da sola: ho parlato con altre mamme all'estero che vivevano la mia stessa situazione, ho parlato con psicologi, con legali, con rappresentanti delle associazioni LGBT, ho parlato anche con le maestre e chi vive mio figlio al di fuori della famiglia.
Certo: non posso prevedere il futuro. Non so che cosa accadrà. Ma questa è la legge della vita. Se tutti quelli che hanno iniziato un percorso si fossero fermati perché "chissà quali possono essere le conseguenze sui figli e la famiglia", probabilmente molte battaglie non sarebbero mai state vinte.
Così vorrei che fosse molto chiaro  che:
1 - sì, sono una semplice mamma, ma ho accanto il supporto di persone competenti che mi aiutano a capire come meglio muovermi per la tutela di tutti e tre i miei figli e che mi aiutano giorno giorno a fare chiarezza e non adagiarmi mai;
2 - non scrivo questo blog per manie di protagonismo, non sono una rivoluzionaria, normalmente non sono nemmeno una combattente. Al contrario, di fronte a una competizione di solito mi defilo in silenzio. Non mi interessa apparire. Sono pronta a qualunque tipo di confronto e discussione. Non sono affatto qui per fare polemica. Per convincere nessuno. La mia non è una presa di posizione politica, non sono un'attivista di nessun tipo. Non partecipo nemmeno ai dibattiti a tavola con gli amici, figuriamoci. Voglio solo mettere la mia esperienza a disposizione di chi può averne bisogno o solo di chi è curioso di sapere. Credo che la curiosità sia già un primo passo verso la conoscenza e l'accettazione. E inoltre spero, quasi più di ogni altra cosa, che appaiano, piano piano, accanto a me altre persone che vivono la mia stessa esperienza perché anche io ho estremo bisogno di continuare a capire.  Vorrei solo essere un "mezzo" a favore dei bambini di oggi che possa anche riscattare i bambini di ieri.

lunedì 3 ottobre 2016

Beyond the Gender Binary | Dr. Margaret Nichols | TEDxJerseyCity


Margaret Nichols spiega in maniera molto bella e vera l'evoluzione e le problematiche dei bambini transgender.

Per chi non sa l'inglese di seguito al video ne ho trascritto la traduzione completa!





Grazie! Mi chiamo Marty Nichols. Sono una sessuologa, una psicologa e la direttrice del centro di psicoterapia IPG (istituto per la crescita personale) qui a Jersey City.
Dal giorno della sua fondazione IGP ha sempre lavorato con la comunità LGBT ciò vuol dire che non solo  ho oltre 30 anni di esperienza di lavoro con persone transgender, ma ho proprio potuto constatare i cambiamenti. Negli anni ottanta e novanta, tutte le persone transgender che si rivolgevano a noi erano  uomini che volevano fare la transizione per diventare donne. Erano tutti adulti. Bambini transgender erano considerati talmente rari che nel mondo intero esistevano pochissime cliniche a cui potevano rivolgersi. Anche casi di donne che volevano diventare uomini erano rarissimi. 
Alla fine degli anni novanta abbiamo iniziato a vedere un drastico cambiamento. Abbiamo iniziato a vedere arrivare studenti del college che dichiaravano di essere transgender. Molti di loro erano donne che volevano diventare uomini e abbiamo iniziato a sentire usare termini come “queer” che davvero non si erano  mai sentiti prima. Dopodiché nei successivi dieci anni c’è stato un ulteriore drastico cambiamento e l’età del nostro cliente medio è scesa talmente tanto che a questo punto ci capita di incontrare uno o due nuovi clienti transgender alla settimana e quasi tutti sono studenti delle superiori o anche più giovani. Addirittura di tre o quattro anni. Magari conoscete già alcuni di loro perché sono apparsi nelle news. 
Coy Mathis ( clicca qui per leggere la sua storia http://www.huffingtonpost.it/2013/06/25/coy-mathis-6-anni-transgender-il-giudice-le-da-ragione-puo-frequentare-il-bagno-delle-bambine_n_3495635.html ) è una bambina transgender di 5 anni che ha vinto una causa contro la sua scuola per poter usare il bagno delle femmine.

Jazz Jennings è una ragazzina che è stata spesso ospite di barbara walters e Rosie O’donnell  da quando aveva cinque anni. Questo anno Time magazine l’ha nominata tra le 25 teenagers più influenti dell’anno. (http://time.com/4081618/most-influential-teens-2015/).

Se non conoscete questi bambini dalle news magari ne conoscete qualcuno personalmente. Magari è un bambino che va a scuola con vostro figlio o vive nel quartiere. Esattamente come oggi tutti sanno chi sia una persona gay, in pochi anni tutti sapranno chi è un bambino transgender.

Ma da dove arrivano tutti questi bambini? E come è possibile che ce ne siano così tanti adesso e nessuno 25 anni fa?

E’ forse perché ne nascono di più?

Io non credo proprio che la risposta sia questa.

Ciò che sta succedendo è che la cultura sta cambiando ed è già cambiata così tanto che le persone transgender si sentono abbastanza sicure da uscire allo scoperto già in giovane età. I bambini transgender ci sono sempre stati, ma 25 30 anni fa non li scoprivamo finché non erano gà persone di mezza età e avevano passato la loro intera esistenza nascondendosi in segreto e vergogna.



Voglio darvi un esempio personale di quanto le cose siano cambiate. Nel 1983 io e la mia compagna Nancy abbiamo avuto un bambino, Corey,. Eravamo parte di ciò che più tardi fu definito il gay baby boom e nei tardi anni ottanta quando Corey aveva circa 5 anni voleva indossare una gonna rosa. Io e Nancy da femministe non avevamo nulla in contrario ma allora negli anni ottanta eravamo una coppia lesbica che cresceva un bambino e la società credeva fermamente che genitori gay rovinassero la vita dei loro bambini così non esisteva che noi lo lasciassimo indossare la gonna in pubblico perché saremmo andate incontro a problemi enormi che magari ci avrebbero portato alla perdita della sua custodia. Allora la disforia di genere era considerata una malattia psichiatrica rara e molto seria ed era considerata causata principalmente dalle madri ovviamente! Saremmo state accusate e ci avrebbero detto che l’unica cura per lui sarebbe stata quella di conformarsi  agli stereotipi di genere, buttare la gonna, comprarsi trattori e fucili e via. Così alla fine Nancy e io decidemmo di passare l’estate a Fire Island presso la comunità gay di Cherry Grove e lasciammo che Corey si portasse lì la sua gonna e  tutti pensarono che era carinissimo. Ora della fine dell’estate non aveva più voglia di mettersela. Nancy e io siamo state molto fortunate perché se avessimo dovuto supportarlo come bambino transgender al tempo ci sarebbe stato portato via sicuramente.  Adesso invece Cheryl Kilodavis che ha un figlio a cui piacciono le gonne rosa non solo gliele fa indossare ma ha anche scritto un libro su di lui che si chiama “My Princess Boy”.


Le cose sono molto cambiate in 25 anni. Adesso sappiamo che le persone transgender non hanno una malattia mentale. Oggi sappiamo che essere transgender è una normale variante di genere. E oggi il trattamento  che prima veniva imposto per conformarsi agli stereotipi di genere viene considerato non etico. Grazie al cielo! Perché oggi sappiamo anche che la cosa peggiore che puoi fare a uno di questi bambini è obbligarlo a conformarsi. E’ una cosa distruttiva per la loro anima obbligarli a essere chi non sono. Ed è proprio ciò che porta a una così alta percentuale di suicidi in ragazzi transgender .


Prima di andare avanti voglio darvi alcune definizioni così riusciamo a capirci meglio quando vi parlo di sesso biologico. Quando parlo di geni, ormoni, e organi genitali mi riferisco al sesso che viene assegnato alla nascita, Ma l’identità di genere è ciò che la persona sente dentro di sé, il genere a cui si sente di appartenere. L’identità di genere risiede nel cervello, quella biologica nell’organo sessuale. L'espressione del  genere è il modo in cui un bambino esprime ciò che si sente di essere. Alcuni bambini sono molto convenzionali, altri meno. Molti bambini sviluppano un’identità di gente molto forte già all’età di due/tre anni e nella maggior parte dei casi questa è in linea col loro sesso biologico. Ma c’è un piccolo numero di bambini in cui questo non succede. Jazz  Jennings è un  chiaro esempio di come un bambino sappia già a due anni che cosa è. Appena ha imparato a parlare infatti ha detto che lei era una bambina e a 5 anni i suoi genitori hanno permesso che facesse una transizione sociale da maschio a femmina. Esiste poi  un terzo gruppo di bambini che non hanno una identità di genere fissa  come il bambino di “my Princess Boy” e in questi bambini di solito non si sa la vera identità di genere fino all’adolescenza. Questi sono i bambini che chiamiamo "gender fluid"  che si sentono in parte un maschio e in parte una femmina e la cosa che hanno in comune è che con l’adolescenza quando i corpi iniziano a cambiare capiscono cosa vogliono. Se riflettiamo bene infatti i corpi dei bambini e delle bambine  non sono differenti. E' quando invece il corpo inizia a cambiare che si capisce meglio cosa succede: ci sono ragazzini che si sentono a loro agio col loro sesso biologico, altri che si scoprono gay, e altri ancora invece che sono schifati dal cambiando  e capiscono di essere transgender (infatti è molto più comune capire di essere transgender in adolescenza che nell’infanzia come per Jazz Jennings) e ci sono altri ancora  rimangono semplicemente gender fluid e altri che stanno nel mezzo ancora e sono quelli che non vogliono essere definiti né maschio né femmina e si dichiarano quel.



Ciò che questi ragazzini stanno facendo alla nostra cultura è veramente rivoluzionario perché stanno letteralmente  rompendo il binario di genere. E il binario di genere è qualcosa che diamo talmente per scontato che nemmeno realizziamo di darlo per scontato. E’ la credenza che gli uomini vengono da marte e le donne da venere. E c’è questa chiara linea di divisione cosicché  i due binari viaggiano paralleli e non si incontrano mai. Ciò che questi ragazzini ci stanno mostrando invece è che quando lasci i bambini liberi di esprimersi riguardo alla loro identità di genere si crea un arcobaleno di gradazioni sull’espressione di genere e si capisce che i due generi (maschio, femmina) sono più un continuum che un binario parallelo.
Torniamo ora al perché la cultura è cambiata e perché la cultura supporta questi bambini in un modo mai fatto prima. La cosa interessante è che questo supporto non arriva dalla comunità gay e nemmeno da quella transgender. Arriva infatti dal cambiamento avvenuto nei genitori che hanno iniziato a comportarsi in maniera differente nel lasciare liberi di esprimersi  i loro figli. E per genitori voglio dire principalmente le mamme. Non che i papà non appoggino i figli (e sicuramente ci sono anche mamme che non appoggiano i figli... ci sono tantissime famiglie che ancora rifiutano figli transgender) , ma questo fenomeno di appoggiare i bambini transgender è arrivato principalmente dalle mamme. Tutte le più importanti associazioni che proteggono e supportano questi bambini  sono state create da mamme. Mamme femministe figlie di femministe che credevano nella libertà di essere chi sei e nel rompere gli schemi dei ruoli. Queste sono le mamme che senza problemi compravano i trattori alle loro figlie e le bambole ai loro figli e quando la cosa si è spinta un po’ più in là di quanto si aspettassero e hanno realizzato che si trovavano di fronte a un figlio transgender o gender fluid hanno fatto un respiro profondo e hanno iniziato la loro battaglia stando dietro ai loro figli, cambiando le leggi, costringendo le scuole a essere differenti, educando le loro famiglie, i loro amici, la loro comunità. Sia chiaro: non è affatto facile per loro. E’ molto difficile accettare di avere un figlio transgender. Fa paura. Confonde. E’ una cosa nuova anche per loro. Non sanno che cosa succederà ai loro figli. ma queste donne ingoiano i loro timori e affrontano ciò che devono per supportare i loro figli. 


Perché tutto è importante? Perché tutti dobbiamo supportare questi bambini? 


La ragione è molto semplice perché ognuno di noi può fare un’enorme differenza.

I bambini transgender sono vittima di bullismo e di molestie molto più di tutti gli altri e sappiamo che i bambini transgender sono quelli con il più alto tasso di suicidi di tutti i bambini. Il 57% dei bambini transgender senza il supporto dei loro cari tenta il suicidio. Percentuale che scende fino al 4% in quelli invece che sono accettati. Quindi se incontri un bambino così fai in modo che sappia di essere amato esattamente per quello che è. Ma anche se non conosci un bambino così, anche se non hai proprio figli questo problema ti dovrebbe stare a cuore ugualmente perché il centro del problema è l'uguaglianza di genere, il sessismo. Lavorando con questi bambini ho imparato che la società odia ancora talmente tanto le donne che se vediamo un ragazzino che si comporta da femmina, tutti dagli adulti in giù lo condannano. E' uno shock per me vedere come vengono trattati questo bambini maschi che sono gender fluid. Le bambine invece possono tranquillamente essere dei maschiati. Hanno una sorta di approvazione. Per questo da piccole riescono a sviluppare una certa sicurezza e stima personale prima di doversi confrontare col mondo durante l'adolescenza. I bambini maschi invece vengono letteralmente massacrati. Ho conosciuto bambini di 4 anni che già si vergognano di mostrare chi sono e non mi sorprende quindi che da grandi gli uomini non se la sentono di mostrare la loro vulnerabilità perché da piccoli venivano puniti duramente se oltrepassavano la linea.



Quindi se credete nell'uguaglianza di genere dovere iniziare a capire che un uomo può essere vulnerabile esattamente quanto una donna può essere forte. E dovete supportare questi bimbi, sopratutto i bambini maschi. La completa uguaglianza di genere ha come presupposto essenziale una totale libertà di espressione di identità di genere.

Questi bambini sono i pionieri della vera libertà di genere. Essi ci stanno mostrando come possa essere un futuro più libero e equo.



Per tutto ciò io spero che voi li vogliate accogliere e supportare.



Grazie

sabato 1 ottobre 2016

online (by L.)

oggi vado online


 Ecco, oggi ho deciso di mettere finalmente online e accessibile a tutti questo mio blog.
Non è una scelta facile. Mi domando quali saranno le implicazioni, quali i risvolti. Non tanto sulla mia vita ma su quella di mio figlio. Lui da quando gli ho chiesto che cosa pensasse al riguardo mi ha assillato perché questo giorno arrivasse. Dice che almeno così le persone inizieranno a conoscere e a capire e a lasciarlo tranquillo. Questo mi ha fatto capire ancora meglio il suo disagio interiore e il bagaglio che si porta dietro e che vorrebbe tanto invece abbandonare.
So già che molte delle persone a me vicine mi criticheranno quasi io avessi agito con superficialità e  senza cognizione di causa. Paradossalmente dovrebbero essere quelle più comprensive. Invece spesso ho riscontrato il contrario. Spero comunque con tutto il cuore che parlarne possa servire a qualcosa. Credo che quando si vive l'esperienza di un bambino gender fluid sia impossibile incollargli le stesse etichette che vengono incollate agli adulti. Un bambino non lascia dubbi: ognuno nasce come è. Non sono sfizi, capricci, traumi, mancanze, carenze. Un bambino non può creare pensieri pregiudizievoli.
Un bambino può solo farti sorridere e pensare che gli vuoi bene proprio per i suoi caratteri distintivi e la sua felicità è l'unica cosa che conta. E un bambino fa capire che anche tutti gli adulti "etichettati" sono stati bambini. Quando stiamo per giudicare una persona per la sua identità sessuale, per le sue inclinazioni sessuali e i suoi gusti, cerchiamo sempre di rivedere il bambino che è stato. I bambini hanno spesso la meravigliosa capacità di riportarci alla "verginità del pensiero" liberandoci dal peso della società. Pensiamo alle smorfie e vocine che facciamo in presenza di un neonato, al nostro metterci al "loro" livello nel gioco.... Ecco....io spero con questo blog che quando vi troverete di fronte a una persona transgender voi possiate vedere mio figlio a tre anni col suo vestitino col nido d'ape e il suo sorriso felice!

una storia italiana



03
MAR
La vita
di Massimo
e Rita cambiata
da una lettera: «Non ce la faccio più a vivere da ragazzo».
La nuova puntata dell'inchiesta sul terzo genere

«Così aiutiamo nostro figlio 15enne
a diventare una ragazza»

Massimo e Rita hanno ricevuto la lettera che ha cambiato per sempre la loro famiglia due anni fa, da quello che allora era il figlio tredicenne, con una raccomandazione: «leggetela domattina». «L’abbiamo aperta in macchina, prima di andare al lavoro — racconta Rita —. C’era scritto che da quando aveva otto anni sapeva di essere una ragazza nel corpo di un ragazzo. “Non ce la faccio più a sognare ogni notte al femminile e poi a svegliarmi non essendolo”, scriveva, “Se potessi rinascere, non vorrei rinascere femmina, vorrei un corpo che sia in linea con la mia mente”. Chiedeva aiuto per diventare donna, perché se fosse andato avanti così si sarebbe ammazzato». Dentro c’era anche il numero di un centro per la disforia di genere. «Improvvisamente tutti i tasselli di un puzzle che per anni non avevamo saputo risolvere sono andati a posto».
Oggi che ha 15 anni, quel figlio è per tutti Irene, anche se la sua transizione è solo all’inizio. Massimo e Rita, impiegati cinquantenni, una casa in un piccolo centro vicino a una grande città, hanno accettato di raccontare la sua e la loro storia a patto di rimanere anonimi (i nomi sono di fantasia): lo faranno oscillando tutto il tempo tra il maschile, per parlarne al passato («ma ci ha fatto giurare di non dire mai il suo vecchio nome»), e il femminile che segna il suo presente.
«Se non ci avesse scritto non so se avremmo capito: alla disforia di genere proprio non avevamo pensato», prosegue Rita. Eppure di segnali ce ne erano stati tanti: «Come il pianto disperato quando a quattro anni saltò sul divano, con i singhiozzi che gli salivano dalla pancia, e mi chiese: perché non sono una bambina?», dice. E ancora: «Quando ha capito che il mondo era diviso tra maschi e femmine, gli è cambiato il carattere, ha smesso di essere il bimbo solare di prima». «Nelle favole era sempre Biancaneve o Cenerentola, non il principe — aggiunge il padre —. Ogni volta che entravamo in un negozio di abbigliamento, non andava dove c’era il segno dei maschi, ma dove c’era quello delle femmine».
Alle elementari sono iniziati i problemi con i compagni, che lo prendevano in giro perché era troppo effemminato. Massimo e Rita hanno provato a rivolgersi prima alla pediatra e poi agli insegnanti. Nessuno ha saputo aiutarli: «La maestra addirittura è scappata in malo modo — dice Massimo —. Alle medie ancora peggio: il buio. E si è chiuso ancora di più in se stesso». Fino a quel messaggio affidato a carta e penna, parole sorprendentemente lucide per un tredicenne. «A volte è difficile avere una figlia così intelligente — sorride ora la madre — devi essere sempre pronta».
Dopo «48 ore di sbandamento completo», Rita e Massimo hanno cercato informazioni e hanno chiamato il Gruppo Abele di Don Ciotti, che a Torino ha uno sportello sulla transessualità. Undici giorni più tardi, nel bel mezzo di un’estate afosa, il primo appuntamento presso un centro specializzato per la disforia di genere. «Volevamo capire, essere sicuri che non stavamo facendo una follia per il desiderio di proteggere nostra figlia», spiegano. Gli incontri e i test somministrati dagli psicologi hanno confermato la disforia di genere.
«Non è soltanto il fatto di avere interessi tipici dell’altro sesso, come capita per esempio alle ragazzine “maschiacci” — spiega Rita —. È guardarsi allo specchio e non riconoscersi. È non trovare riscontro nel mondo esterno: sentirsi dentro una ragazza e vedere che tutti ti trattano come un maschio. Io, da allora, ho provato tante volte a immaginarmi come mi sentirei se mi svegliassi una mattina e improvvisamente cominciasse a crescermi la barba. Per nostra figlia era così tutti i giorni».
Irene, che da anni navigava in Internet cercando informazioni sulla transizione da uomo a donna, sperava di poter prendere da subito gli ormoni. Ma per gli adolescenti (nel centro che la segue ci sono 21 «MtF», «male to female» e 26 «FtM», «female to male») la legge italiana prevede solo la psicoterapia. «A un certo punto ci ha detto che non ne aveva più bisogno. Poco dopo, però, ha smesso di mangiare ed è entrata con tutte le scarpe nell’anoressia — racconta Rita —. Rifiutava il suo corpo e siccome a una lezione di biologia a scuola le avevano spiegato che la malnutrizione blocca lo sviluppo, aveva cercato questa strategia». Ci sono voluti cinque mesi per convincerla. «A giugno 2014, ci ha fatto un discorso molto duro: “Per voi è facile: andate al lavoro, litigate, vi ammalate, però siete sempre voi. Io ho un problema molto più grande:mi sveglio la mattina, mi metto una maschera e dico: ok, andiamo a recitare una parte”. Poi però ha ammesso di aver bisogno di aiuto e ha ricominciato a mangiare il giorno dopo».
Soprattutto ha iniziato a vestirsi da ragazza, si è fatta crescere i capelli e ha assunto il nuovo nome, Irene. «Fortunatamente adesso che è alle superiori anche a scuola va molto meglio: ha fatto amicizia con le compagne, preside e insegnanti sono andate anche a parlare con la psicologa del centro che la segue». Eppure rimane difficile, perché Irene nel frattempo è entrata nella pubertà maschile e non sopporta di vedere il suo corpo cambiare. Spesso se la prende con il padre: «Dovevi proprio essere così alto e peloso?», gli rimprovera. Guarda con paura le gambe e le mani che si allungano, non sopporta i suoi genitali. «Vorremmo che potesse prendere i farmaci per sospendere la pubertà, le risparmierebbero un sacco di sofferenze adesso e in futuro, ma in Italia sono vietati», dice il padre. «Intanto sta contando i giorni che mancano ai suoi 16 anni, come mio fratello quando faceva le crocette sul calendario per la leva» aggiunge Rita. A quell’età, tra qualche mese, potrà infatti iniziare la terapia ormonale che renderà il suo corpo più femminile.
Anche per i suoi genitori è un traguardo, il primo di una lunga serie: «Sappiamo che avrà una vita più difficile degli altri — dice la madre —. Ma sono convinta che quando avrà un aspetto che le corrisponde sarà più serena e saprà farsi valere. Spero solo che possa vivere in società più accogliente».